Repubblica dedica uno spazio fisso alle morti sul lavoro. Una Spoon River che racconta le vite di ciascuna vittima, evitando che si trasformino in banali dati statistici. Vite invisibili e dimenticate. Nel nostro Paese una media di tre lavoratori al giorno non fa ritorno a casa e "Morire di lavoro" vuole essere un memento ininterrotto rivolto a istituzioni e politica fino a quando avrà termine questo "crimine di pace".
"L'abbiamo fatta una o due domeniche fa...". Paola ha trovato la forza di pubblicare sui social una fotografia struggente: una strada di campagna, il sole basso che proietta sulla spalla di piante e cespugli l'ombra di loro quattro, la famiglia. Un'ombra vicina all'altra Paola, Valentino e, più piccoli, Giacomo e Nicolò. Figure dipinte dal sole al termine di una bella giornata di festa. Valentino, 'Tino', ora non è più neanche un'ombra. E' morto folgorato da una scarica elettrica per l'impatto tra la betoniera e i conduttori ad alta tensione. E' successo in un cantiere edile di Vidor (Treviso). Aveva 43 anni, un muratore esperto e benvoluto da tutti. Chissà quante volte aveva percorso quella strada di campagna in sella alla bicicletta, lui che era stato un campioncino del ciclismo, prima nella squadra di Trevigliano, poi nel Team Bibanese. Lo sport era parte della sua vita e adesso lo viveva soprattutto seguendo Nicolò, 8 anni, e Giacomo, 12, giocatori di rugby. Ma sopra ogni cosa c'erano famiglia e lavoro.
Morire di lavoro: le storie di Bruno, Hassan, Andrea e i troppi altri. Per non trasformare le loro vite in esistenze invisibili e dimenticate