La copertina di Buongiorno, 15 featuring e un inedito, scattata sotto la Casa del Portuale di Napoli, racconta di un legame fortissimo e (finora) clandestino
Architettura brutalista e musica neomelodica hanno in comune molto più di quel pensiamo: oltre a vivere entrambe una seconda giovinezza su Instagram, che in pochi anni le ha trasformate da correnti bistrattate a sorgenti di like e cuoricini, tutte e due hanno un legame a doppio filo con il cemento armato.
Se nella prima il calcestruzzo è l’elemento di costruzione da non nascondere più, anzi da valorizzare nella sua ruvida bellezza, nella seconda diventa sfondo di una modalità espressiva che racconta i quartieri e che, proprio come il brutalismo, si vuole proporre come alternativa alla tradizione (della canzone napoletana in questo caso).
E ancora, proseguendo il parallelismo, vogliono essere rispettivamente architettura e musica popolari, espressione di una città lontana dai quartieri borghesi.
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Se consideriamo questa premessa, la foto di copertina dell’ultimo album di Gigi d’Alessio, Buongiorno (GGD Edizioni Srl/Sony Music) – 15 successi ripensati, riarrangiati e riscritti in collaborazione con BoomDaBash, Clementino, CoCo, Enzo Dong, Franco Ricciardi, Geolier, J-AX, LDA, Lele Blade, MV Killa, Rocco Hunt, Samurai Jay e Vale Lambo e l’inedito Vint’anne fa – scattata ai piedi della Casa del Portuale è la sintesi perfetta di questo legame tra brutalismo e musica neomelodica, amanti che finalmente possono uscire alla luce del sole. A dare loro coraggio c’è anche l’ingrediente rap, che con il cemento a vista ha sempre avuto un rapporto privilegiato.
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Il rapporto musica-architettura è già nelle parole usate dal cantautore per raccontare l’album: “Abbiamo mantenuto l’anima delle canzoni, con una facciata moderna. Un po’ come nelle ristrutturazioni”.
A disegnare quell’enorme costruzione nel porto di Napoli che fa da quinta a Gigi D’Alessio (seduto su un trono che riporta a quel barocco che è diventato un riferimento di stile da Gomorra in poi) e a tutti gli artisti che hanno collaborato con lui fu Aldo Loris Rossi, “il più geniale degli architetti metropolitani italiani, un progettista di utopie” secondo Luigi Prestinenza Puglisi, già omaggiato da Liberato nei video di 9 maggio e Tu t’è scurdato ‘e me.
Costruita tra il 1968 e il 1980, la Casa del Portuale è un gigantesco edificio tra i binari merci del porto di Napoli e i silos, in cui torri e guglie si contrappongono alle grandi superfici orizzontali di cemento faccia vista, alternate a grandi vetrate.
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Alla base, 12 piloni cavi, in cui sono alloggiati gli impianti tecnici e gli elementi di distribuzione verticale, sorreggono la struttura ispirandosi ai silos che la circondano.
Nonostante la Casa del Portuale di Napoli non sia un edificio abbandonato – solo il primo piano è chiuso, mentre i livelli più altri ospitano uffici legati all’attività del porto e durante la settimana offre ristoro a operai e marinai – il cemento che si sbriciola lasciando intravedere i ferri sembra dare forma a quell’idea di architettura come “organismo vivente, umano direi” sostenuta da Aldo Loris Rossi. Un architetto che, tornando a citare Puglisi, “seppe immaginare Wright all’interno delle metropoli campane, che ha imparato la lezione dei futuristi senza scimmiottarli, che ha saputo dialogare con le correnti espressionistiche e organiche europee pur rimanendo italiano”.