Alberto Selvaggi (Foto Teresa Imbriani)
Dopo via Argiro, via Melo, via Re David, viale Europa, via Prayer (Sant'Anna) e via Lattanzio prosegue con questa settima puntata il viaggio per le strade di Bari
Via Orfeo Mazzitelli ha avuto un destino strambo. Nel senso che dentro Poggiofranco nuova si trasforma nel suo contrario, nel suo competitor, dopo la rotonda in linea d’aria. Cioè in via Salvatore Matarrese, fondatore pure lui di una grande impresa di costruzioni, come lui attivo dacché l’Italia perse il «De Monarchia» e si improvvisò repubblicana, e il cui nome s’insinua con ostinazione addirittura in mozziconi di strada già consegnati a fama altrui: «Prolungamento di via Salvatore Matarrese», «Via Orfeo Mazzitelli già via Salvatore Matarrese». Fra i due si interpone Largo Emanuele Degennaro (1920-1988), terzo costruttore.
D’altronde lo vedi, limpido, chiaro, quando percorri questi rettilinei immessi uno nell’altro: è area per edificazioni, senti le finestre friggere sul forno dei raggi, il cemento che spande e sorge in bastioni di un nuovo Creato. Guardi il metallo, i rampicanti che piangono sversandosi dai balconi hi-tech, roof garden 600.000 euro pentavani, edifici top di gamma, lucenti di ascensori cromo e di marmi lustrati, e che sembrano ridere nel vento come il denaro che scintilla.
Ai piedi di ogni condominio si apre un caveau a ingresso elettronico (garage) che tiene in deposito auto di valore senza erogare interessi bancari. Tante quante altrove non se ne vedono. E compaiono ancora all’esterno nel carico-scarico davanti ai portoni prima di discendere nei loro ricoveri d’ombra.
Su via Mazzitelli il Noema Parking e il Garage Mazzitelli al - 3 stanno affiancati. Si sviluppano progetti di verde verticale consegna 2024. De Finibus Terrae di quanto a Bari ci è dato. E una grande, ininterrotta tavolata sulla quale mangiare luculliano, ristoranti, giapponesi e patriottici, pizze gourmet, bar, secondo intervalli melodici di triadi o coppie, linearmente armonizzati nello chic che oggi assoggetta il palato.
Ma si sa che anche gli occhi masticano. La gola guarda. Tutto è concorde nell’edonismo occidentale che ha invaso via via anche i sentieri ottuplici orientali, le filosofie di chi teorizzava altro da ciò che proponiamo, e che si è fatto religione impossessandosi della dimensione spirituale. Per cui si può dire che via Mazzitelli è in tutto il suo essere un fortilizio del nostro tempo. Un modello vincente. Tanto che continua a espandersi, lungo i marciapiedi, e alle spalle, gru, bitumatrici, voragini; e ad accogliere anime fasciate da Burberry e da Adidas, deambulanti su Tod’s e su Asics modello Metaspeed Sky, e che si sentono bene.
Via Mazzitelli è uno dei salotti di Bari. Forse più salotto fra tutti. Si lascia alle spalle il disco volante sormontato dagli specchi dell’hotel Nicolaus marca Degennaro, i pilastri lungo i quali in senso ascendente s’irradiano rampicanti secchi come mani di vecchia sulla gamba di un giovane e prosegue per i fatti suoi in direzione opposta di marcia. Che silenzio, squarciato da urlo di macchina. Che pace: attento al Monster Ducati lanciato come uno sparviero con le ali tagliate.
Il principio è un triangolo di verde indipendentista centrato dal sole che non si riappropria di nulla, alberi colmi di capelli, buoni per poter urinare nascosti: sappiamo che i bagni pubblici tutti li hanno chiusi perché tutti lo fanno. Così si usa nel mondo. Questo facciamo per vivere, anche vivere peggio di prima, ma comunque vivere.
Un marciapiede, una corsia discendente, lo spartitraffico che separa la parallela che sale, pista ciclabile per padroni con cani, una bretella smilza che orla dal principio al finale del centro sportivo Angiulli i complessi residenziali abitati con lo stesso rispetto e la stessa cura con cui sono stati recentemente costruiti.
Diamine, via Mazzitelli. Chissà se è passaggio di cinghiali che hanno imparato a masticare asfalto e ad aspirare polveri sottili come le persone civili. Chissà se quaggiù nel declivio a destra profondo, dietro silos e macchinari e capannoni ammantati di ruggine viaggiano volpi dagli occhi lampeggianti con canini che insanguinano il corpo dei pennuti.
Sulla destra ci sono il collegio universitario di merito Poggiolevante, che ha in testa pannelli fotovoltaici, Intesa sport club scuola calcio ufficiale del Bari che si inoltra in areole di ulivi cinti di serenità bucolica. Palazzo AltaBari, il cui nome stesso ribadisce l’aspirazione a elevarsi del posto, guarda di fronte alla lottizzazione 22/91 fabbricato B2 ad uso abitativo, al bar Asgard foderato di marmo bianco tagliato a fette larghe e con bagni brillanti. Accanto a questo, il primo assaggio di movida nel sushi fusion Basho, sotto portici pieni d’immensità ariosa, alti come principi di Danimarca, algidi come tetti lustrati dalla neve, e che sul retro si aprono in spazi meditativi nei quali sciacquare i panni di qualsivoglia produzione.
Stanno bene i lavoratori, stanno bene i residenti, giardini pensili, palme, ulivi pettinati come bambini prima di andare a scuola, panche di pietra sulle quali fermarsi e, non visti, non pensare. A che serve, poi? Dove andiamo a parare? Bisogna andare oltre il pensiero, avevano ragione gli indiani.
Sono puliti perfino i parapetti delle rampe dei garage. Così questo rettilineo si è fatto la fama di uomo ricco. Poi ricco quanto non sappiamo. Così si è fatto bianco come gli abiti da sposa, s’è imbellito con allestimenti linfatici da pranzo nuziale e ha attratto una gioventù modaiola e mangereccia nuova di notte.
Via Mazzitelli non fa sesso con nessuno. Non si contamina. Camminando nella luce del mattino si vedono begli attacchi motopompa rosso mattone. Passerelle per disabili a posto. Ingressi trasparenti, o di faggio nudo. C’è lo Studio odontoiatrico Carlaio al 120, con i dottori R. Carlaio e M. Virginia Bux. Accanto sta crescendo come un allievo della scuola militare Nunziatella Palazzo Vesta per Ricci Costruzioni, circondato da gru. Viene fuori una ragazza con un cane amorfo. Si ferma un Suv tinto tomba e deposita una signora dai capelli di fuoco. Belli.
Dall’altro lato della strada, sotto palazzine più basse e ordinarie, prima che la natura proceda nell’abbandono di macchinari edili, c’è il celebre Cicli De Marzo, con sospesa in vetrina una baby bici Bianchi. In cielo, sopra al giallo dei fiori, il buco dell’ozono. Di qua Matsu tasting emotion e sushi roll style, nome che corre sulle labbra dei ragazzi, proprio sotto i dentoni dello studio odontoiatrico Tempesta, che prosegue ad angolo sopra l’ingresso di Stocotto «a fuoco lento». La Marisqueria, pescheria e cucina, è attigua al bar Mood, tavolini all’aperto affollati di abiti blu. Viene fuori una ragazza madre con due gemelli nella carrozzina che sembrano dolcissimi cani shih tzu e difatti abbaiano. Il civico 160 A è trapezioidale, ingresso in cristallo che si fa trapassare dall’occhio, cinto da aiole laviche di fiori viola. E sulla fiancata, in prima fase dell’opera di costruzione, è possibile scorgere che cosa nasconde un palazzo sotto. L’enormità. Il precipizio. La forza non più umana, lo sbigottimento di fronte alle facoltà umane che sanno giostrare tra giganteschi equilibri. La prova che fra le arti decadute scienza e tecnica si conservano espressioni migliori, il Politecnico di Bari è il nostro Conservatorio musicale delle ruspe, gli ingegneri e gli informatici unici veri spiriti guida. E laggiù tra gli escavatori che aprono il cuore della terra, fra operai ridotti a pulci, possiamo lanciare la nostra ammirazione, l’umiltà di sudditi davanti ai padroni del compasso e dei numeri.
Il Talento Caffè nella grande piazza si è spogliato di tutto. Gli altri locali sono aperti: l’Officina di Soal, pizzeria gourmet braceria, Osteria del porto, Sensi restaurant, Giotto pizzeria a 360 gradi, nome fra i nomi. Dopo Venus Estetica, al 264, c’è un mosaico di targhe servizi offronsi, il commercialista revisore legale Giuseppe Matarrese, il cardiologo Maurizio Nastasi, la psicologa Roberta De Robertis, nel caso decidiate di diventare agorafobici. E, senza soluzione, Le Véronique, Tabula Rasa, pizza, spaghetti, risata, digestione.
Sul balcone di un primo piano del 270 spicca il blasone tribunalizio di una falange armata di avvocati del lavoro, Gismondi, Lella, Didonna, Cascione, D’Addario. Sul citofono sta piantata la psicologa clinica Maddalena Mesto che è psicanalista pure, e quanto la collega consegnata all’intraducibile, all’insondabile e all’imprevedibile sopratutto. A destra c’è una professionista in tailleur, graziosa, che non saluta anche perché procede spedita con i polpacci in tensione su tacco 12; sarebbe viva, se viva fosse là dov’è dipinta sul muro; è impegnata in una conversazione, ti risponderà dopo al telefonino per conto della BCC Cassano delle Murge e Tolve.
Via Mazzitelli termina con l’attiguo spazio giochi, forse ad uso dei bancari più tristi e immaturi. A metà percorso sul Largo Degennaro c’è un altro parco, con scivoli e altalene, di dimensioni maggiori. Ma ovunque sui marciapiedi stanno distese enormi grate di areazione, che aprono sotto di noi abissi di verità di cui non si intravede il fondo, rivelatori della vertigine che ci segue passo per passo, in ogni momento del giorno, che ci fa sfiorare l’infinità della morte, salto nel buio che ci divide dalla realtà sensibile per unirci fra noi.
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